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domenica 30 maggio 2010

Un patto tra Nord e Sud. di Giorgio Ruffolo


Valentino Parlato (il manifesto, 21 maggio) che la strada federalista «è un disastro». «Ma se proprio è inevitabile mi sembrano più ragionevoli le macroregioni (si riferisce alla proposta da me avanzata in un mio recente libro e richiamata in un articolo su Repubblica) con le quali il problema dell'unità si porrebbe più realisticamente evitando le spezzatino».Quella proposta è stata invece severamente criticata da Eugenio Scalfari (Repubblica del 16 maggio) secondo cui le macroregioni «sarebbero inevitabilmente la fine dello Stato unitario».Non vorrei prenderla troppo alla larga. Ma è un fatto che il federalismo non è certo un tema nuovo per l'Italia. Durante il Risorgimento le idee federaliste animarono correnti importanti della politica italiana. Per un certo periodo la prospettiva dell'unità nazionale restò sullo sfondo, mentre prevaleva il progetto di una confederazione degli Stati regionali italiani, presieduta dal Pontefice romano secondo Vincenzo Gioberti, o dallo Stato piemontese, secondo Cesare Balbo. L'obiettivo dell'unità era nettamente subordinato a quelli della libertà e dell'indipendenza. Fu Carlo Cattaneo a confutare con frasi sprezzanti il «sistema delle vecchie repubblichette», che andavano dissolte e sostituite da nuove aggregazioni politiche fondate sulle autonomie dei Comuni, il vero motore della storia civile italiana, confederate negli Stati Uniti d'Italia, secondo il modello americano.Il federalismo era comunque un patto tra soggetti storici e geografici concreti.Col tempo, la logica dei rapporti di forza favorì, grazie alla grande regia di Cavour, l'egemonia del piccolo Piemonte, che riuscì a imporsi anche a grande parte dell'opinione e dell'azione repubblicana, nel compimento dello Stato unitario centralizzato.Mentre trionfava il principio dello Stato unitario emergeva, rispetto al problema del rapporto tra Stato centrale e componenti regionali, quello, sempre più drammatico, del rapporto tra il Nord e il Sud del Paese che, durante la sciagurata guerra del brigantaggio, sancì la netta subordinazione del secondo rispetto al primo. Antonio Gramsci denunciò le radici classiste di quella subordinazione e additò nell'alleanza tra operai del Nord e contadini del Sud la soluzione del dramma meridionale. Altri, come Salvemini e Dorso, pur persuasi dell'importanza decisiva del movimento contadino, svilupparono anche l'idea dell'autonomia politica del Mezzogiorno, come forza costituente di uno Stato nazionale (che Dorso preferisse il termine di autonomismo a quello di federalismo era una questione definitoria). Non si trattava dunque di un rapporto tra lo Stato e le regioni del Sud, che, eccettuata la Sicilia, non avevano alcuna tradizione di autonomia e di personalità storica distinta. Si trattava di «dare all'Italia meridionale una costituzione federale» entro un quadro federale italiano.In altri termini, il federalismo (Salvemini) era considerato «l'unica via per la soluzione del problema meridionale» . Era anche allora ben presente l'obiezione che l'autonomismo ponesse in pericolo l'unità del paese. La risposta (Dorso) era che proprio la mancanza dell'autonomismo «ci riconduce nel vecchio schema della carità statale o minaccia di sbalzarci nel separatismo reazionario».Per carità: le condizioni del Paese sono radicalmente mutate dal tempo in cui questi testi furono scritti. Ma la minaccia che si profila oggi all'unità del paese non dipende certo dalle proposte di evocare quella istanza autonomistica ma, paradossalmente, dal modo sbagliato e distorto nel quale è stata colta. Quella istanza richiedeva un intervento economico organico e potente nella realtà meridionale, tale da realizzare una condizione di efficienza competitiva e, insieme a quella, di sviluppo civile paragonabili a quelle esistenti nel Nord.Nei primi decenni post bellici la Repubblica democratica si dimostrò all'altezza di questa sfida. La Cassa del Mezzogiorno realizzò nel Sud una rete di grandi infrastrutture che ne ruppero l'isolamento costituendo le condizioni di base per la crescita di attività produttive. Sorsero anche, grazie all'iniziativa delle imprese a partecipazione statale, grandi impianti sulla cui capacità propulsiva si contava per promuovere una rete diffusa di imprese produttive. E proprio questa mancò.Bisogna dire che a tutt'oggi non c'è una idea chiara sulle ragioni di questo fallimento.Sono però convinto che almeno una parte della risposta stia nel passaggio che, con la creazione delle Regioni, è avvenuto dalle responsabilità «tecnocratiche» a quelle «politiche» dell'intervento. Questo passaggio era senz'altro necessario; ma avrebbe dovuto verificarsi a un alto livello; quello che poteva essere assicurato da una guida politica unitaria della realtà meridionale, investita di una larga autonomia politica, secondo le ispirazioni dei grandi meridionalisti: condizione essenziale per la nascita di una classe politica capace di visione e di distacco: visione integrale e comprensiva della realtà meridionale; distacco, nella scelta e nell'amministrazione dei progetti, dalle tentazioni degli interessi personali e locali.La regionalizzazione dell'intervento, salvo poche esperienze apprezzabili, è stata un fallimento. Le importanti risorse finanziarie affidate alle gestione politica regionalizzata sono state in larga parte disperse secondo logiche clientelari e di corta vista, per non dire di peggio.Col tempo, questo fallimento è emerso,determinando la reazione della parte del paese, il Nord, sulla quale grava il peso maggiore del trasferimento.L'inefficacia dell'intervento straordinario si è rivelata attraverso un aumento del divario tra Nord e Sud del Paese, cui corrisponde un aumento generale dell'insoddisfazione politica. Questa alimenta le due forze divaricanti di un potenziale secessionismo: quella che tende a configurarsi nell'ideale, piuttosto deprimente, di un Belgio grasso (l'espressione è dello storico Omodeo) e quella che tende a dissolversi nel disordine criminale delle mafie.Dunque la minaccia del secessionismo non è ipotetica, è presente e reale e bisogna fronteggiarla. Come?La risposta del federalismo fiscale parte da una intenzione opposta a quella del federalismo storico: non devolvere a una unità superiore competenze e risorse oggi amministrate a livelli inferiori, ma il contrario. Lo dice chiaramente Luca Ridolfi nel suo notevole libro, Il sacco del Nord. Se non si vuole ingannare la gente con un federalismo fasullo il federalismo fiscale deve ridurre il flusso delle risorse diretto al Sud. Per fronteggiare la reazione delle regioni penalizzate, l'autore suggerisce di indennizzarle con una riduzione delle tasse. Ma qui la sua intelligenza si appanna. Ridurre le tasse significa, al netto, aumentare il debito pubblico, che grava sull'economia nel suo insieme e proporzionalmente, sulla parte più ricca. Cioè il Nord. Non mi pare un buon affare.A parte il fatto che finora non si sono fatti i conti del federalismo fiscale. Se le cifre che leggiamo nelle relazioni parlamentari sono esatte, il peso, specialmente nelle attuali condizioni, risulta insostenibile. E allora, stiamo parlando di niente. Anzi, non di niente. Stiamo parlando di una drammatica crisi di governo.E allora? Come si fronteggia la minaccia, attuale e reale, di secessione? Criticare le proposte sta bene. Ma quale risposta si dà a quella minaccia? Io tengo nella massima considerazione i ragionamenti di Scalfari (come sempre). E sono pronto, come ho detto esplicitamente, ad ammettere che la mia proposta comporta dei rischi. Ma il rischio peggiore è quello di non fare niente, mentre quella radicale innovazione presenta una grande occasione.Il centro della mia proposta, osservo, non sta nella creazione delle macroregioni. Sta nella loro funzione. Sta nel patto tra il Nord e il Sud, nel quale le due grandi parti d'Italia troverebbero finalmente le ragioni della loro unità.Scalfari dice giustamente che non si può considerare il divario tra il Nord e il Sud italiano alla stregua di qualunque altro in Europa. Questo divario è giunto a un punto di rottura. E allora: non è la prospettiva di un patto «drammatico» e anche rischioso la risposta che un grande paese dovrebbe dare alle minacce che incombono su di lui?Quale è l'alternativa? Lo spezzatino di Valentino Parlato? Non piace a lui e neppure a me, Per capire bene che cosa significa sono andato a cercare il verbo spezzettare nel vocabolario. Ecco che cosa ho trovato: «ridurre in pezzetti, sminuzzare, sbriciolare, smozzicare, tritare, triturare, stritolare, frammentare. Vedi anche, dividere».


PS. E il PD, che dice? Francamente non capisco. La sofferta adesione del PD al federalismo fiscale è segno di convinzione o di sgomento? (Lasciamo andare le tentazioni demenziali di «astenersi». Da che cosa?).

sabato 29 maggio 2010



Economia e Politica


Posted: 28 May 2010 07:19 AM PDT
La situazione europea è gravissima. Nel bel mezzo della maggiore crisi economica degli ultimi 80 anni i governi europei si apprestano a tagliare i bilanci pubblici nella vana speranza di riequilibrarne i saldi. E’ di questi giorni la notizia che il Fondo Monetario Internazionale chiede ulteriori misure “greche” alla Spagna, mentre la stessa Germania è pronta a dare il buon esempio. In Italia il PD si limita a dire “noi l’avevamo detto” (cosa? che si doveva tagliare prima?) e a invocare un po’ di giustizia distributiva senza cogliere il cuore del problema. Questo consiste nel fatto che i tagli avviteranno le economie europee in una spirale verso il basso che metterà ancor più in crisi i conti pubblici e privati. Vigliaccamente, inoltre, la presunta necessità dei tagli viene utilizzata per infliggere un ulteriore colpo ai sistemi di welfare con la giustificazione che gli europei avrebbero vissuto “al di sopra dei propri mezzi”. Ma l’argomento è falso. L’Europa nel suo insieme ha vissuto sempre coi propri mezzi, non ha infatti un debito estero (anzi l’opposto). La Spagna, il principale paese, fra quelli più esposti, aveva i conti pubblici “in ordine” sino a un anno fa. Lo stato sociale non c’entra nulla.
Certo, all’interno dell’Europa vi sono paurose relazioni debitorie-creditorie fra paesi. Ma di chi è la colpa di questi squilibri? Solo oggi comprendiamo pienamente quanto avevamo solo intuito: che la creazione dell’Euro era un esperimento da apprendisti stregoni. Sta ora diventando senso comune – sebbene non di tutti - che l’euro abbia dato l’illusione alle banche tedesche e francesi che si potessero allegramente alimentare bolle edilizie (in Spagna e Irlanda) e favorire governi clientelari (in particolare quello greco di centro-destra). Questi meccanismi stimolavano le esportazioni, soprattutto tedesche, per giunta avvantaggiate anche dalla più moderata dinamica di prezzi e salari rispetto ai paesi periferici oggetto di  una crescita “dopata”. Ma i nodi sono poi venuti al pettine. Ora le banche tedesche – già gonfie di mutui subprime americani - sono inguaiate quanto il governo greco e le famiglie spagnole trascinate nel boom edilizio. Sicché anche il pacchetto di aiuti europeo di 750 miliardi di euro varato lo scorso 9 maggio ha una dubbia affidabilità. Chi davvero aiuterà chi, visto che il paese che dovrebbe aiutare gli altri, la Germania, è pieno di crediti inesigibili? La questione è di tale portata che Wolfgang Munchau (sul Financial Times del 23 maggio) suggerisce provocatoriamente che potrebbe essere la Grecia a dover aiutare la Germania. Come noi avevamo fatto notare pochi giorni fa sul Goodwin-box, anche Munchau ora ci dice che l’unica valida misura adottata è l’intervento della BCE a sostegno diretto dei titoli pubblici europei. Meno giustificata è la fiducia nella ripresa delle esportazioni extra-europee in seguito alla caduta dell’euro. Al limite queste avvantaggerebbero soprattutto della Germania. Ma soprattutto è da escludere che Cina e USA resterebbero con le mani in mano se tale calo perdurasse.
Esperimento da apprendisti stregoni, si è detto. Ma attenzione, si tratta di un esperimento consapevolmente perseguito dai governi dell’Europa periferica, in particolare dall’Italia, che pensava così di importare la “disciplina tedesca” su salari e mercato del lavoro. Lo stesso tentativo fu effettuato nel 1979 col Sistema Monetario Europeo, e si sa come andò a finire. Qui però rischia di finire peggio visto non c’è più la liretta da svalutare.
Il problema è che siamo in assenza di una analisi politica seria a livello europeo di ciò che sta accadendo. Il PD e la CGIL farebbero bene, se ne sono capaci, a uscire da una strategia economico-politica in cui giocano di rimessa su temi in fondo secondari. La questione non verte su una finestra pensionistica in più o in meno. Il punto è che bisognerebbe mettere in discussione lo scenario da “suicidio collettivo europeo” entro cui le misure restrittive dei governi si collocano. E’ l’esistenza stessa di queste manovre congiunte a livello europeo che va respinta con fermezza. Si passi dunque a discutere di come questo paese possa porre il problema in sede comunitaria, o alternativamente si possa tirar fuori da un simile disastro.

venerdì 28 maggio 2010

assemblea regionale

Ai membri dell'Assemblea regionale SEL

E’ convocata per sabato 5 giugno dalle ore 9 alle ore 14 presso la sala multimediale del Consiglio comunale di Napoli, Via Verdi, l’assemblea regionale.


A seguire il dispositivo di convocazione.

L’assemblea regionale ha dato mandato ai componenti del coordinamento nazionale di Sinistra ecologia e Libertà di promuovere una consultazione dei delegati per verificare il percorso da intraprendere rispetto all’elezione degli organismi dirigenti in vista del congresso fissato per il prossimo ottobre. Gli esisti della consultazione, alla quale ha partecipato un largo numero di componenti dell’assemblea interessati a proporre percorsi e iniziative politiche, hanno determinato la necessità di dotare al più presto il soggetto costituente di una struttura organizzativa e di un coordinatore. Pertanto i componenti del coordinamento nazionale hanno stabilito di convocare per il tre giugno l’assemblea regionale con all’ordine del giorno: relazione sulle consultazioni e fase politica, elezione del coordinatore e presentazione di una proposta organizzativa e di lavoro per i prossimi mesi. Sono quindi aperti i termini, entro la data stabilita, per presentare candidature per l’incarico di coordinatore, le proposte nominative dovranno pervenire alla Presidenza dell’assemblea all’apertura dei lavori che avverranno alle 9,30 del giorno 5 giugno 2010.

L’assemblea si aprirà con l’illustrazione delle linee programmatiche dei candidati che dovranno articolarsi in 15 minuti di intervento. Subito a seguire si procederà al dibattito.

Le urne per la votazione, che si svolgerà a scrutinio segreto, saranno aperte dalle 12,30 alle 13,30.

Al voto potranno partecipare i membri dell’assemblea regionale così
come determinatasi in occasione della assemblea nazionale del 12 dicembre ultimo scorso.

mercoledì 26 maggio 2010

I quesiti referendari per evitare che la gestione del servizio ricada in mano privata


Primo quesito:

«Volete voi che sia abrogato l'art. 23 bis (Servizi pubblici locali di rilevanza economica) del decreto legge 25 giugno 2008 n. 112 "Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria" convertito, con modificazioni, in legge 6 agosto 2008, n. 133, come modificato dall'art. 30, comma 26 della legge 23 luglio 2009, n. 99 recante "Disposizioni per lo sviluppo e l'internazionalizzazione delle imprese, nonchè in materia di energia" e dall'art. 15 del decreto-legge 25 settembre 2009, n. 135, recante "Disposizioni urgenti per l'attuazione di obblighi comunitari e per l'esecuzione di sentenze della corte di giustizia della Comunità europee" convertito, con modificazioni, in legge 20 novembre 2009, n. 166?»

Secondo quesito:

«Volete voi che sia abrogato l'art. 150 (Scelta della forma di gestione e procedure di affidamento) del Decreto Legislativo n. 152 del 3 aprile 2006 "Norme in materia ambientale", come modificato dall'art. 2, comma 13 del decreto legislativo n. 4 del 16 gennaio 2008?»

Terzo quesito:

«Volete voi che sia abrogato il comma 1, dell'art. 154 (Tariffa del servizio idrico integrato) del Decreto Legislativo n. 152 del 3 aprile 2006 "Norme in materia ambientale", limitatamente alla seguente parte: "dell'adeguatezza della remunerazione del capitale investito

Materiali per i banchetti

"Materiali per la raccolta firme"
"Brochure informativa"
"Verbali di deposito dei quesiti in Corte di Cassazione"



Acqua, Commissione UE: carenza idrica e siccità serie preoccupazioni



25 maggio 2010
La Commissione europea ha pubblicato una relazione sui risultati ottenuti dagli Stati membri nella lotta alla carenza idrica e alla siccità. Emerge che alcuni Stati membri presentano una scarsità permanente di acqua in tutto il territorio. Il problema non è circoscritto ai paesi del Mediterraneo: nella Repubblica ceca ci sono zone colpite con frequenza da carenza idrica e la Francia e il Belgio hanno comunicato situazioni di eccessivo sfruttamento delle falde acquifere.
Da anni la Commissione europea insiste affinché gli Stati membri adottino politiche in questo campo, ad esempio per quanto riguarda le tariffe, il miglioramento degli strumenti di gestione idrica e misure in materia di efficienza e risparmio idrico.
In uno studio svolto per conto della Commissione nel 2009 si riportava che l'introduzione di requisiti obbligatori per i dispositivi che utilizzano acqua nell'ambito dell'estensione della direttiva sulla progettazione ecocompatibile potrebbe permettere un notevole risparmio. Se fossero inclusi tutti i dispositivi domestici che utilizzano acqua sarebbe possibile ridurre il consumo idrico totale del 19%, pari ad una diminuzione del 3,2% del volume di acqua estratto ogni anno nell'UE. Riducendo il consumo idrico dei prodotti connessi al consumo di energia, come rubinetti, docce e vasche, si potrebbe anche ridurre del 20% il fabbisogno di energia necessaria per riscaldare l'acqua. Infine, modificando la durata delle docce, la frequenza dei bagni o l'utilizzo dei rubinetti, il consumo di acqua potrebbe ridursi del 20-30% circa.
Nella relazione la Commissione esprime anche le proprie preoccupazioni per i ritardi nell'attuazione della direttiva quadro sulle acque che si registrano negli Stati membri più colpiti dal fenomeno della carenza idrica. Gli Stati membri avrebbero dovuto presentare i rispettivi piani di gestione dei bacini idrografici a marzo, ma in alcuni di essi le consultazioni su tali piani non sono ancora cominciate.
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